L’adolescente.

Nasce a Torre del Greco il 6 gennaio 1945 presso l’abitazione di Via Fosso S. Michele da  Cosimo e Clementina Cicchella. Al comune viene registrato al numero 29/1A del registro atti di nascita dello stesso anno. Il giorno dopo fu portato al fonte battesimale della chiesa parrocchiale di S. Croce, poco distante dalla casa paterna.

La casa in affitto era posta al primo piano, su un’ampia balconata dalla quale si entrava in diversi appartamenti, composti da un piccolo ingresso, da una mini cucina e una stanza da letto: da cui si poteva vedere la strada (Via Diego Colamarino) attraverso un varco del palazzo di fronte, quando il portone di quest’ultimo era aperto. Il “bagno” (ma era solo una semplice tazza) sul ballatoio era utilizzato insieme agli altri condomini, la mattina per lavarsi la faccia e le mani si  usava un vassoio a cui di volta in volta si cambiava l’acqua.

Ci si affacciava dalla balconata e lì, nel basso, le massaie lavavano i panni asciugandoli al sole, quando raramente riusciva a penetrare, anche lì altre minuscole abitazioni.

Una scala portava ad un’altra casetta dove il ciabattino Michele per tutto il giorno era chino sul suo banco di lavoro a riparare tante di quelle scarpe super sfruttate: dalle sue capaci mani ne uscivano rinate e sfavillanti come nuove, lì a volte don Michele si recava, curioso.

Dal palazzo, dopo una decina di metri, si raggiungeva la Chiesa di San Michele, il cui sottosuolo ospitò i genitori e il fratello Franco con le zie Filomena e Peppa durante i bombardamenti della II guerra mondiale.

In famiglia, oltre al padre di don Michele che ogni mattina raggiungeva la Capitaneria di Porto, dove era impiegato – aveva lasciato la sua Mottola (TA) all’età di 17 anni arruolandosi in Marina Militare a Pola ex Jugoslavia, oggi Pula, poi nel dopoguerra passò all’impiego civile – c’era la madre Clementina, un angelo di donna.

Accudiva i quattro figli: Francesco,  Michele, Giuseppe e Anna Maria, educandoli alla fede cristiana e fu lieta di assecondare la vocazione del figlio quando essa si manifestò.

La signora Clementina aveva vissuto fino alla maggiore età a Napoli in via Rimini, 71 presso una zia materna di nome Filomena. Da brava sarta che era, preparava le sagome dei  pigiami sul tavolo della stanza da pranzo con il gessetto, assemblando poi le varie parti con la macchina di cucito SINGER, a volte per consegnare in tempo la merce era costretta a lavorare anche di notte.

Lavorava per il Sig. Pellino di Napoli e per il negoziante Di Cristo di Torre del Greco: in questo modo arrotondava le entrate, trovandosi poi a percepire una piccola pensione.

Viveva in famiglia una zia della mamma di don Michele di nome “Peppa” che da piccola aveva subito un intervento alle gambe non riuscito che la costringevano a trascinarsi, non potendo così uscire di casa.

“Peppa” aveva una passione sfrenata per il gioco del lotto e questo era causa di molti dissidi con la nipote Clementina. Cucinava e provvedeva alle piccole faccende domestiche, e provvedeva a preparare i suoi nipoti per la pulizia personale.

L’asilo frequentato da Michele era quello dell’Istituto delle suore “Vocazioniste”, conosciuto popolarmente come le suore della “Mujana” di via Roma, che raggiungeva la mattina accompagnato dalla mamma.

Che si sentisse attirato dalla fede è dimostrato dall’entusiasmo che manifestò quando il suo  babbo gli comunicò che lo avrebbe portato a Roma, insieme agli altri due fratelli, per partecipare alle funzioni dell’Anno Santo del 1950, regnante Papa Pio XII. Tutti e quattro furono ospitati nel Convento di una Congregazione religiosa femminile.

Furono giornate che egli trascorse in maniera radiosa ed entusiastica: era la manifestazione eloquente del suo desiderio di farsi servitore di Gesù.

Terminata la materna passò alla scuola elementare “Giovanni Mazza” di via Vittorio Veneto frequentando la prima classe con la maestra Titina Cuocolo, madrina della sorella Annunziata, che lo accompagnò fino alla quinta.

Nel 1951 fu assegnata alla sua famiglia una casa popolare – Rione Ina Casa – di  via Circonvallazione  a Torre del Greco, a seguito di partecipazione all’apposito bando di concorso la cui graduatoria teneva conto del reddito e della composizione familiare, allora composto dai genitori, quattro figli e una zia materna.

La voglia di abbandonare al più presto la vecchia casa era tanta. Lui e i fratelli, nonostante la piccola età, fecero in modo che il trasloco fosse il più rapido possibile. Si caricavano sulle braccia  due sedie e con l’altra in testa raggiungevano la nuova casa.

Qui nasceva nel 1953 la sorella Annunziata, giunta – diceva la mamma – dopo cinque anni dalla sorella Anna Maria per volere del Signore.

Nell’estate dello stesso anno nel Santuario di Pompei insieme al fratello Francesco gli fu amministrato il Sacramento della Prima Comunione e della Cresima, padrino il dottor Mario Rotondi, ginecologo.

Terminate le elementari, dopo aver superato l’esame di ammissione e dopo un intenso studio attraverso la consultazione del libro “Il Cervino”, si iscrisse alla prima media frequentando la scuola media “Giacomo Leopardi” ubicata al viale Cristoforo Colombo di Torre del Greco. Il suo insegnante di lettere era il Prof. Monsurrò di Torre Annunziata; quello di religione il Sacerdote Tommasino Raiola.

Già durante le elementari il suo tempo libero lo dedicava al Signore: frequentava l’Associazione Cattolica “Mons. Pasquale Brancaccio”, presso la Parrocchia di Santa Maria del Popolo, dove partecipava, guidato dal parroco don Filippo Eredità, alle funzioni religiose come chierichetto per poi essere inserito nei tornei parrocchiali di calcio, tennis da tavolo, bigliardino, conquistando nei campionati locali numerose attestazioni. Come il fratello Giuseppe amava il calcio; quali delegati, organizzavano numerosi tornei sul campetto parrocchiale, che per le ridotte dimensioni, non permetteva ampie azioni di gioco,  il pallone a volte calciato con una maggiore forza finiva nel sottostante scarpata o sul balcone della canonica, dove la mamma di don Filippo provvedeva, con tanta pazienza a  recuperarlo. Per raggiungere il campo sottostante occorreva una vera impresa alpinistica. Quante volte don Michele per recuperare il pallone scendeva in un “pozzo” che raccoglieva acque piovane, e a volte ritornava con graffi e i panni sporchi, ricevendo al ritorno a casa tanti rimproveri da mamma Clementina, che per evitare conseguenze teneva la cosa nascosta al padre.

Si era nel dopoguerra e le maestre di catechismo, per premio ad ogni lezione regalavano ai partecipanti i famosi dolcini donati dagli americani, di cui don Michele andava “pazzo”.

Mentre gli altri coetanei giocavano con le biglie colorate e i tappi di bottiglia, nel giardino sotto casa, Michele amava, inoltre, fare la raccolta di santini.

Durante le assolate estati, che trascorreva con la famiglia a Mottola, paese d’origine del padre, nella vigna ereditata dal nonno Francesco, gestita da un colono, alternava il lavoro dei campi con scorribande in bicicletta coi fratelli.

Un giorno affittarono le biciclette per un’ora, dando il dovuto anticipatamente, ma l’ebrezza e l’allegria del gioco li portarono lontano verso nuove scoperte e non si avvidero del trascorrere del tempo, lasciarono le biciclette sull’uscio del negozio e non visti scapparono via.

Da sempre, aveva avuto il desiderio di farsi prete: dunque fu inevitabile qualche alterco con il genitore che pretendeva che frequentasse, finito il ciclo delle medie, un istituto superiore dopo il quale gli sarebbe stato facile – per usare un termine di oggi – “realizzarsi”nel mondo del lavoro.

Michele avrebbe voluto far coincidere l’entrata in seminario, cui agognava, con la scelta dell’indirizzo scolastico “superiore”.

Il papà, era molto severo, abituato a rispettare, essendo stato per tanti anni in Marina  le rigide disposizioni militari. Molto spesso don Michele e i fratelli per sfuggire ai suoi rimproveri scappavano attorno al tavolo della stanza da pranzo, finché la mamma non li salvava delle botte del papà.

Obtorto collo, don Michele andò a frequentare l’Istituto Tecnico Statale per il Commercio “Eugenio Pantaleo” di via Cimaglia.

Ma accadde quello che era prevedibile: a un bel momento abbandonò la “Ragioneria” e … vinse lui.

Il Seminarista (1960-65)

E così, appena quindicenne,  varcò il portone del Seminario di Napoli ricevendo il 25 marzo 1961 la vestizione clericale. Lavorò sodo per la sua formazione culturale e spirituale, sotto la guida di valenti educatori, seguiva con profitto i corsi di studio al ginnasio e al liceo Arcivescovile e non disdegnava le partite di calcio con i compagni del seminario, che si alternavano alle due ore di lezione e di meditazioni teologiche.

La sua formazione si consolidava e si arricchiva con curiosità e entusiasmo attraverso gli insegnamenti dei professori, per i quali nutriva stima e rispetto.

Particolare “affetto e riconoscenza” provava per il prof. Francesco Strazzullo del quale apprezzava la serietà, la dedizione, la schietta cordialità. La volontà solida e allergica ai compromessi.

Da ricordare le corse affannose domenicali dei  genitori per raggiungere con i mezzi pubblici, di allora,  Capodimonte per l’ora di visita ai seminaristi.

Poi dal 1963 il fratello Francesco, fresco patentato, accompagnava i genitori e le mamme di due seminaristi torresi a Napoli, con quest’ultimi si recò a Piazza San Pietro il 17 novembre per partecipare alla cerimonia di beatificazione del venerabile Vincenzo Romano, del quale, poi,sarebbe diventato attento studioso e biografo. “Con la sua figura alta, slanciata, il volto dal colorito bruno, il collo esile e lungo si parò davanti a tutti. Reggeva, alta, una croce astile con entrambe le mani e la bianca, ricamata cotta e la nera sottana erano come onde squassate dal vento  perché con passo lungo e veloce ed elegante precedeva e sovrastava una schiera di altri chierici.

Condivideva con i suoi amici di classe, le gioie, le fatiche, gli impegni, gli studi liceali e teologici. Formazione umana, teologica e sacerdotale sotto la direzione di valenti ed amati superiori. A don Michele, al liceo, piaceva studiare in particolare le materie letterarie e la storia dell’Arte”. Ogni materia insegnata in Seminario lo vedeva appassionato e attento. Appena poteva, si appartava in biblioteca per consultare i grandi testi di storia, dai quali ricavava materiale per la sua formazione scientifica che poté spaziare ed esplorare quando varcò la soglia di biblioteche e archivi.

In seminario don Michele era anche un impegnato e disciplinato sportivo. Giocava a pallavolo, a pallacanestro e a calcio. Amava molto anche il tennis da tavolo,ed era in questo campo molto esperto e bravo, vincendo diversi tornei, nel Seminario e fuori.

Superò in maniera più che brillante ogni esame curriculare , ricevendo l’apprezzamento dei docenti. Furono, gli anni e gli studi del seminario, una vera palestra per quello che sarebbe stato poi il suo apostolato .

Ci si conosceva vicendevolmente i difetti e le virtù. La spensieratezza della gioventù e del vivere in un ambiente sereno e protetto, come il Seminario, si alternava alle preoccupazioni teologiche del dopo Concilio Vaticano II e degli anni della contestazione giovanile.

Un’immagine può far capire il pensiero su don Michele di quel tempo. L’uccellino, che vive nel nido, è al sicuro, ma allunga la testa per vedere e ricevere il cibo: impara a vivere e a volare all’ombra della madre-uccello. Poi, quasi improvvisamente, il nido scompare, mangi da solo: voli da solo, decidi  da solo, sulle amicizie, attività, dai risposte ad interrogativi tuoi e di  chi si affida a te, con riflessioni fatte     responsabilmente, ma da solo. Don Michele si è formato nel nido-Seminario: i suoi slanci, i suoi progetti, i suoi sorrisi erano considerati ancora immaturi e impulsivi. Fuori dal nido-Seminario hanno acquistato la validità di chi mette, nelle cose che fa, tutta la sua generosità, il tempo disponibile, la schiettezza e la sicurezza di chi fa la volontà di Dio”(nota n.2).

Il suo amore per gli studi classici,  durante il periodo di frequenza al seminario, lo portarono a conseguire la maturità classica nel luglio del 1965 presso l’Istituto Collegio “Bianchi” di Napoli. In teologia, don Michele amava oltre la dogmatica, in particolare, la Storia della Chiesa, la Patrologia, la Liturgia e la Sacra Scrittura. Studiava con particolare impegno e passione, fino a trascurare a volte il sonno, specialmente nell’imminenza degli esami, che egli desiderava superare con il massimo dei voti.  Nel luglio del 1968 partecipò ad un viaggio di studio con i suoi professori in Belgio, Olanda, Germania visitando musei  e cattedrali delle città di Bruxelles, Liegi, Gand, Amsterdam, Colonia e fece visita al campo di concentramento di Dachau. Accompagnato da colleghi partecipò poi in agosto  al congresso delle ACLI tenutosi in Grecia.

Non è superfluo sottolineare la granitica aspirazione di don Michele a farsi sacerdote di Cristo: nonostante il vento della rivoluzione culturale e giovanile del 1968, l’anno insomma della contestazione, era imperterrito, e, sostenuto da grande fede, non fu per nulla influenzato e coinvolto, a differenza, in quegli anni, di tanti aspiranti presbiteri e sacerdoti già consacrati, che abbandonarono, copiosi, la Chiesa Cattolica.

Il Sacerdote (1969-1991)

Fu ordinato sacerdote dal Cardinale Corrado Ursi nella Basilica del Buon Consiglio di Napoli il 29 giugno 1969. Dopo l’ordinazione presbiterale una vera e propria “escalation” di frequenze e impegni: in primis, l’iscrizione alla Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale per conseguire, nel 1970, la relativa licenza con la pubblicazione della ricerca archivistica per una storia del Seminario di Napoli (1568-1800) relatore il Prof. Luigi Diligenza. Aveva cominciato a “piccoli passi”.

In contemporanea si iscrisse al Corso di Laurea in Lettere dell’Università Federico II di Napoli, indirizzo classico: sono gli anni della contestazione studentesca. La vita del Seminario impediva una frequenza costante alle lezioni all’Università, spesso disturbate da assemblee, occupazioni e liberalizzazione dei piani di studio. Don Michele studiava con altri suoi due colleghi spesso nella propria abitazione di Torre del Greco, fino a notte inoltrata.

Il 1° settembre 1969, veniva nominato assistente corale della Cattedrale di Napoli.

Era sempre seguito dai vertici della Diocesi napoletana per il suo zelo e la sua preparazione, instancabile e frutto di attenta documentazione. Sin dal primo avvio alla vita presbiterale, era in “odori” di incarichi.

Il primo incarico in una comunità parrocchiale arriva nel 1970, quando don Michele viene nominato vicario parrocchiale dell’importante comunità napoletana di Santa Lucia: la stessa comunità lo accolse con fervore è sempre attenta ai suggerimenti del novello sacerdote.

 

A don Michele piaceva viaggiare e imparare le lingue. Nell’agosto del 1970 e del 1971 partecipò a due corsi compatti di inglese.

Partecipò, poi, con professori suoi colleghi ad un viaggio di quindici giorni in Russia.

Nel 1971, appare chiaro a tutti che il “Sacerdote con il Cuore di Bambino” come verrà successivamente “etichettato”ha particolare predilezione verso il mondo giovanile: sono considerazioni dei superiori che per questo lo nominano assistente spirituale presso l’Istituto di rieducazione “Fiorelli” di Torre del Greco, struttura che ospita giovani che oggi diremmo afflitti da particolare disagio.

Il 1971 è, insomma, un anno pieno di novità perché in questo periodo viene nominato vicario parrocchiale della Parrocchia dello Spirito Santo della sua città natale, incarico che manterrà fino al 1975: furono questi quattro anni di fecondo apostolato durante i quali don Michele, pur in umiltà, fece sfoggia del suo carisma evangelico.

Sempre nel 1971, ottiene, dal Provveditorato, la nomina di insegnante di religione presso la Scuola Media Statale “C. Battisti” di Torre del Greco – che successivamente gli sarà dedicata – incarico che manterrà fino alla morte.

Arrivava al mattino, entrava in sala professori e salutava: ”Buongiorno” con quel sorriso da fanciullo saggio, era segno che sarebbe stata una buona giornata con tutti gli alti e bassi legati allo svolgere la nostra professione con una platea un po’ difficile. Durante i consigli di classe preferiva ascoltare e nella sua riservatezza interveniva raramente ma in modo efficace. Se non condivideva i giudizi espressi da qualche collega, iniziava la replica usando l’appellativo professoressa con un’intonazione tale  che non si poteva fare a meno di pensare all’istante: ecco Don Milani, poiché era sempre pronto a difendere chi necessitava di aiuto. L’ora di Religione era un’ora di lezione coinvolgente e appassionante durante la quale gli alunni non si annoiavano mai e imparavano le regole del rispetto reciproco e dell’amore fraterno, era un momento di apertura dello spirito alla bontà e all’amore.

Avanzava con passo frettoloso per i corridoi della scuola per accontentare tutti gli allievi, soprattutto all’inizio del nuovo anno scolastico durante la distribuzione dei libri di testo…si adoperava tanto per soddisfare le richieste dei genitori che gli chiedevano un aiuto per l’acquisto dei libri.

Usava un metodo didattico, seguendo gli insegnamenti appresi in seminario, originale e vivo, ciò che voleva dai suoi studenti erano la curiosità e l’entusiasmo, e per suscitarli usava ogni mezzo: diapositive e filmine, illustrazioni e cartoline artistiche; quando spiegava trascinava con la sua carica di energia vibrante, elettrica, ma contenuta, i più attenti li gratificava con tante caramelle che portava sempre con sé. Insieme con don Michele gli alunni imparavano il rispetto della legge divina e della legge civile, la solidarietà e la condivisione, acquistavano, giorno dopo giorno, i principi di quell’etica universale che sono alla base di ogni convivenza civile.

Ai più bisognosi regalava libri di testo affinché potessero studiare alla pari degli altri colleghi.  Nell’insegnamento mostrò un grande calore umano e un profondo interesse per la vita.  La sua giornata, dopo l’orario scolastico, si consumava tra i ragazzi della scuola, lo studio e chiunque desidera qualcosa. Tutti trovavano in lui un ascoltatore attento e comprensivo, e lui era lieto quando poteva aiutarli nello svolgere i compiti.

Uno dei tanti chiodi fissi di don Michele era la Teologia: ne era un accurato studioso e nel 1972 consegue la relativa Licenza presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale.

Dopo l’ordinazione sacerdotale don Michele intraprese insieme con altri amici sacerdoti gli studi universitari. Là dove era stato chiamato, sprigionava una continua forza evangelica e di apostolato:  beneficava quanti lo avvicinavano. La sua attenzione era per tutti ma i più seguiti sin dall’inizio, erano, come è stato detto, i giovani che avevano necessità di avere  un “altro”padre. E siamo al 1974: quest’anno si caratterizza da un intensificarsi di attività e di responsabilità.

Si diploma in Biblioteconomia e Bibliografia presso la Biblioteca Apostolica Vaticana.

I suoi studi riflettono anche istituzioni non ecclesiali: nel 1975 realizza un altro suo sogno al quale dedica ore intere di lavoro, anche notturno, e di ricerca. Consegue, infatti, il diploma di Archivistica, Paleografia presso l’Archivio di Stato di Napoli.

Sempre nel 1975 entra nel mondo dello scautismo quale assistente spirituale del MASCI di Torre del Greco, che è il movimento adulti degli Esploratori.

La Diocesi lo … insegue sempre e sa che ogni sua direttiva avrà il suo placet.

Diviene dunque Cappellano dell’Istituto Benedettine di Torre del Greco, meglio noto come Istituto Santa Geltrude.

Era un padre per gli orfani: dovunque trovava bambini bisognosi, in un modo o nell’altro, li soccorreva e quando non poteva risolvere il  problema da solo, allora chiedeva aiuto alle religiose  segnalando casi pietosi o portandoli con la sua FIAT 126 direttamente , coinvolgendo tutte le suore in questa passione per il prossimo. Una volta messili al sicuro, egli non dimenticava questi ragazzi,ma ogni giorno veniva a visitarli per rendersi conto che mangiavano,crescevano e portava a loro caramelle ed altro.

Anche in questa realtà ecclesiale i giovani scoprono il fascino del carisma di questo sacerdote  le  cui  messe  domenicali, nella cappella dell’Istituto, vedevano sempre la presenza massiccia di fedeli, in modo particolare ragazze, ragazzi ma anche tanti adulti che si erano affezionati alle sue celebrazioni e omelie al Vangelo della domenica, poi si portava nei locali messi a disposizione dalla Suore, seminava la “Buona Novella”. Era sempre pronto ad ascoltare, comprendere, consigliare, soddisfare gli interrogativi giovanili. Il ricordo delle esperienze calcistiche del Seminario gli suggerì di organizzare tornei di calcio e, in queste occasioni, le mura del Convento, di solito silenziose, erano animate da risate felici di adulti e bambini.

La sua è una furia di impegni. Con il sorriso sulle labbra si dava ai bambini, agli anziani, ai giovani. Don Michele,anche dopo la consacrazione sacerdotale, restò amico stretto del Prof. Mons. Franco Strazzullo, docente di Storia dell’Arte al Liceo del Seminario Arcivescovile di Napoli, stimatissimo critico dell’arte e dell’architettura napoletana, i cui scritti sono tutt’ora reperibili nelle più importanti biblioteche nazionali. Mons. De Ciutiis, docente di latino al liceo,arguto e brillante predicatore, ospite di pranzi privilegiati sia presso Fra Umile Fidanza ogni 17 del mese al Convento di San Pasquale a Portici sia a casa di don Michele la cui buona mamma preparava per l’ospite.

Nel 1977, consegue la laurea in Lettere Classiche presso l’Università di Napoli con 110 su 110, con la tesi:”Le pergamene dell’archivio del Capitolo di Capua”, relatore Prof.C.Salvati.

Passano due anni ed ecco arrivare, puntualmente accettata, la nomina a rettore dell’Oratorio del Cuore di Gesù di Torre del Greco, antico ritrovo spirituale nel centro antico della città, voluto, negli anni cinquanta, dalla devota signorina Giovannina Milanesi cui seguirà l’affidamento alla laica Angelina Betrò. E proprio l’Oratorio la sua casa: lo trasforma, lo ristruttura, riavrà nuovi locali che meglio rispondano alle esigenze … turbolenti dei giovani che frequentandolo, cominciano a lasciare i pericoli della strada. Ci si mette,insomma, alla “scuola di don Michele”. Via Piscopia diventa un centro di recupero giovanile, e la Parola e il Vangelo danno vistosi frutti spirituali. Qui si studiava, si giocava, si suonava…e don Michele, onnipresente, era sempre pronto ad aiutare i ragazzi che avevano difficoltà nell’apprendimento e anche nell’acquisto dei libri scolastici. Nell’oratorio c’era anche spazio per il tempo libero: si giocava a ping-pong, si preparavano canti sacri e non, per animare le sante Messe o per vivere in moderata allegria momenti di serena spensieratezza. Il suo apostolato coinvolgeva persone di ogni età, di ogni ceto sociale, di ogni cultura, credente e non credente. Capì che gli anziani andavano seguiti nel far valere i loro diritti indirizzandoli verso persone capaci di aiutarli. Anticipò le attuali strutture di patronati. Si circondava di giovani disposti a collaborare nel sociale. Incaricò in particolare  un,assistente sociale del Comune, e un suo giovane per seguire i giovani disagiati e disadattati. La prima si interessava di casi che vedevano protagonisti i giovani per integrarli nella società e non farli sentire ai margini, mentre il secondo aveva l’incarico di seguire le problematiche relative alla burocrazia che da sempre ingabbiava gli anziani e i sofferenti..Michele operava dietro le quinte.

Quanti giovani oggi  hanno un lavoro grazie al suo aiuto materiale e convinzione di portarli allo studio e acquisire una cultura che gli avrebbe dato lavoro. Le testimonianze di tanti giovani oggi insegnanti o impiegati ne sono la prova. Tanti ne rimasero toccati e lo ebbero come direttore spirituale. Molti passarono dalle tenebre dell’ignoranza alla luce della Fede, dalla strada contorta a quella diritta.

Purtroppo, la sua conformazione a Cristo, il suo stile di vita non sempre furono compresi e  tutto questo gli procurò profonde e dolorose sofferenze interiori.    Egli considerava la Fede un dono da condividere e diffondere. Quando incoraggiava ad intraprendere un servizio per il Signore, era solito dire: “…Tu comincia…, il resto lo fa lo Spirito”. E, un ministero, quello della rettoria del Cuore di Gesù, per il quale don Michele impegna tutte le sue energie spirituale e ogni suo risparmio per il restauro della chiesa e dei locali annessi per svolgere, come si diceva  poc’anzi, l’attività pastorale.

Il 17 novembre 1988 guidò i suoi fedeli a Roma in occasione del 25° anniversario della beatificazione di Vincenzo Romano.

Don Michele Sasso unì all’intensa e fedele attività sacerdotale un impegno culturale ricco e fruttuoso.

Nel 1982 – Consegue la Laurea in Filosofia presso l’Università di Napoli con 110/110 con la tesi: La Gnoseologia di Ockham relatore il Prof. Pasquale Mazzarella.

Nel 1984, si abilita all’insegnamento delle materie letterarie nella Scuola Media Statale.

Vincitore di concorso, predilesse il ruolo di professore di religione, che svolse per circa un ventennio nella scuola media statale di “Cesare Battisti” di Torre del Greco. Studioso “invisibile” ma appassionato delle figure dei santi, si interessa anche di San Gennaro, della cui Cappella del Tesoro diventa prelato il 19 novembre 1985.

Due anni dopo, il 18 giugno 1987 consegue il dottorato in Sacra Teologia Pastorale presso la Facoltà Teologica “San Tommaso d’Aquino”di Napoli discutendo la tesi: “La missione pastorale del Beato Vincenzo Romano nel suo contesto storico pp.516 + 302, riportando il massimo dei voti e la lode.

Gli fu conferito l’incarico di prima nomina per l’Insegnamento di Teologia Dommatica  presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Napoli per l’anno accademico 1987/88.

Era appassionato dell’arte, e non solo  quella religiosa: le vacanze estive le trascorreva insieme ai compagni di seminario diventati poi sacerdoti, visitando le più belle città europee: Parigi, Bruxelles, Londra, Mosca, Malta,e le città della Germania,allora non ancora riunificata.

Amava le amicizie e lo stare a contatto con la gente .Non disdegnava i pellegrinaggi in Terra Santa,Lourdes,Fatima e fu uno dei primi visitatori della non ancora nota località mariana di  Medjugorje: quest’ultima località la raggiunse,insieme al diacono Quirino,nel 1985,nella sua “capiente”126 con imbarco a Bari. Andava in giro per l’Italia per visitare santuari e luoghi mariani perché era – come dice oggi Papa Francesco – “un pastore con l’odore delle pecore”.

Chiesa madre del cimitero di Torre del Greco dove riposa Don Michele – 1995

 

LO STUDIO SUL BEATO                                                     

Don Michele ha dedicato la parte della sia pur giovane vita allo studio  della figura del parroco santo di Torre del Greco con diverse pubblicazioni e commenti ospitati da varie testate.

Assidua e puntuale fu la sua collaborazione a “IL NOTIZIARIO”,organo mensile della Comunità ecclesiale di Torre del Greco. Nei suoi articoli, veniva scandagliato ogni  dettaglio della vita di quello che la città di Torre del Greco attende come prossimo canonizzato. In realtà don Michele – con i suoi scritti – ha avuto il pregio di offrire al lettore autentiche pennellate sull’apostolato del celebre personaggio torrese:periodicamente regalava gli aspetti piu’ profndi e poco conosciuti di Vincenzo Romano, con riflessioni riportate poi nella sua tesa di teologia pastorale.

I suoi “pezzi”, in buona sostanza contengono non solo la biografia del Beato,ma anche i temi propri del discorso che Papa Paolo VI fece il 17 novembre del 1963 in occasione della cerimonia di beatificazione a Piazza San Pietro:”don Vincenzo” – disse in buona sostanza il Pontefice,- “con la sua opera è stata precursore della carità sociale della Chiesa”.

Questi i titoli delle principali pubblicazioni di don Michele dedicate alla vita del Beato:””Beato Vincenzo Romano,vita e scritti” del 1984; ”Annuncio della fede e solidarietà nel Beato V. Romano”del 1986; ”Il Beato Vincenzo Romano e la spiritualità sacerdotale” del 1987; “V. Romano,Istruzioni catechistiche”sempre del 1987” e,postuma,”V. Romano,il Vangelo della Carità”.